A Pomarance l’allarme degli agricoltori della Val di Cecina
La chiusura temporanea dei macelli di Colle val d’Elsa e Massa Marittima sta mettendo in ginocchio la produzione di carne degli allevamenti ovini. Questo e gli altri problemi delle aziende agricole della Val di Cecina, sono stati al centro dell’incontro indetto da Coldiretti Pisa che si è tenuto ieri nella sala dell’ex Pretura al Marzocco di Pomarance, a cui hanno partecipato i vertici provinciali della confederazione e decine di aziende della zona.
L’emergenza riguarda la macellazione: alla recente chiusura del mattatoio di Cecina si è aggiunta quella dei macellicomunali di Colle val d’Elsa e di Massa Marittima: «Non hanno rispettato l’obbligo di dotarsi entro il 9 dicembre di uno strumento per lo stordimento dei capi ed ora sono costretti a respingere le richieste di macellazione di ovini e suini», spiega Luigi Piccicuto, presidente del Consorzio dell’Agnello Pomarancino. «Un grave danno con l’aumento di ordinazioni delle settimane pre-natalizie, soprattutto per i piccoli allevatori che devono macellare pochi capi. Con la chiusura di tutti e tre i macelli ci sono aziende di Castelnuovo, Monteverdi e addirittura Campiglia che ora sono costrette a spostarsi fino a San Miniato, a 150 km di distanza, con costi pesanti».
«Le aziende devono essere messe nella condizione di fare reddito», è il messaggio del presidente di Coldiretti Pisa Fabrizio Filippi, «si tratta di sopravvivenza di un intero territorio. La Regione può intervenire su due fronti: da una parte con il riconoscimento della zona come area vocata al biologico. Questo darebbe valore ai prodotti del territorio e agli sforzi di tante aziende. Dall’altra con l’emanazione dei nuovi bandi del PSR per il bio. L’ultimo infatti è uscito 4 anni fa, ma nel frattempo il biologico da queste parti è cresciuto».
«Anche le amministrazioni locali possono fare molto – aggiunge Filippi – a partire dall’introduzione nelle mense pubbliche di prodotti locali e come alleati nella richiesta di una corretta gestione degli ungulati, l’altro grave problema che sta cambiando letteralmente il disegno del territorio. Molte aziende hanno dichiarato di aver smesso di seminare perché le perdite sono troppo ingenti. Intere coltivazioni di grano, orzo, avena, ovvero le colture tipiche della zona, in grado di dare reddito e che sono anche patrimonio di biodiversità, rischiano di sparire».